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Senato della Repubblica

Rifiuto del voto segreto. Intervento del Presidente Grasso

10 Febbraio 2016
By monicacirinna.it
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Pubblico l’intervento in aula del Presidente Grasso relativo al rifiuto del voto segreto sul non passaggio agli articoli. Il fatto che il presidente Grasso abbia riconosciuto l’ancoraggio esclusivo del testo unioni civili all’articolo 2 della Costituzione, nel pieno rispetto della sentenza della Corte 138/2010, consentirà, nel proseguio dei lavori, di valutare con estrema accortezza il ricorso al voto segreto.

PRESIDENTE. Passiamo all’esame della proposta di non passare all’esame degli articoli.

Onorevoli colleghi, sulla proposta di non passaggio all’esame degli articoli è stata presentata, da parte del prescritto numero di senatori, una richiesta di votazione a scrutinio segreto, ai sensi dell’articolo 113, comma 4, del Regolamento. Nel ricordare che il disegno di legge in esame reca disposizioni per la regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze, la Presidenza rileva che il tema della regolamentazione di tali unioni rientra non tanto nella sfera di applicazione degli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione, più volte richiamati sia nelle premesse dell’ordine del giorno di non passaggio agli esami degli articoli, sia in una memoria depositata contestualmente alla richiesta di votazione a scrutinio segreto, quanto nell’ambito di applicazione dell’articolo 2 della Costituzione, in base al quale «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità».

Infatti, la Corte costituzionale, nella nota sentenza n. 138 del 2010, ha posto al centro delle proprie argomentazioni, proprio il citato articolo 2 della Costituzione.

In particolare, nel precisare il concreto significato di tale disposizione, la Corte ha chiarito che: «per formazione sociale deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico. In tale nozione è da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri».

Tuttavia, proprio in ordine alla disciplina che deve regolare tali unioni, la Corte costituzionale ha escluso in modo inequivocabile che: «l’aspirazione a tale riconoscimento – che necessariamente postula una disciplina di carattere generale, finalizzata a regolare diritti e doveri dei componenti della coppia – possa essere realizzata soltanto attraverso una equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio».

Ne deriva, sempre ad avviso della Corte, che: «nell’ambito applicativo dell’articolo 2 della Costituzione, spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette, restando riservata alla Corte costituzionale la possibilità d’intervenire a tutela di specifiche situazioni (come è avvenuto per le convivenze more uxorio: sentenze n. 559 del 1989 e n. 404 del 1988)», che infatti costituiscono l’oggetto del citato Capo II del disegno di legge.

D’altro canto, nella stessa sentenza, la Corte ha precisato che se è vero che i concetti di famiglia e matrimonio non si possono ritenere cristallizzati con riferimento all’epoca in cui la Costituzione entrò in vigore, ciò nondimeno, «l’elasticità interpretativa non può spingersi fino al punto da incidere sul nucleo della norma modificandola in modo tale da includere in essa fenomeni e problematiche non considerati in alcun modo quando fu emanata».

Proprio in quanto i Padri costituenti ebbero a modello le disposizioni in materia di famiglia dettate dall’allora recentissimo codice civile del 1942, ne deriva che l’ambito applicativo degli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione può essere interessato dalle disposizioni del disegno di legge solo laddove queste mettano in discussione i principi di riconoscimento, garanzia e tutela previsti dalle citate norme costituzionali. Ma la previsione di forme di riconoscimento, garanzia e tutela ulteriori, lascia del tutto impregiudicate quelle che la Costituzione e la conseguente legislazione di dettaglio prevedono in favore della famiglia, del matrimonio e dei figli.

Infatti, l’attinenza delle disposizioni contenute nel disegno di legge agli articoli 29, 30 e 31 non si rinviene neppure ad un esame complessivo del testo.

Con riguardo al Capo I, concernente le unioni civili tra persone dello stesso sesso, il fatto che, per ragioni di mera tecnica legislativa, anche al fine di scongiurare duplicazioni e ridondanze della normativa vigente, si sia inteso fare riferimento ad istituti già consolidati novellando la legislazione in vigore, non determina affatto la pretesa attinenza delle misure previste con i principi che da tempo regolano la famiglia quale “società naturale fondata sul matrimonio”. È infatti agevole verificare che la normativa in materia di famiglia, matrimonio e adozioni resta del tutto impregiudicata, se non intatta, prevedendosi nel disegno di legge unicamente alcune estensioni applicative giustificate da un’analogia di fondo che, per espressa precisazione della Corte costituzionale, non necessariamente può o deve tradursi in automatica equiparazione. In altre parole, il disegno di legge, pur regolando una materia sicuramente affine a quella tutelata dagli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione, attribuisce un riconoscimento giuridico e una disciplina a fenomeni finora non regolati dal legislatore senza tuttavia intaccare in alcun modo la famiglia.

Con riguardo poi alla disciplina delle convivenze di fatto, anche in questo caso il disegno di legge mira a regolamentare fenomeni già oggetto di numerosi interventi da parte sia del legislatore che della giurisprudenza, senza che ciò abbia mai determinato una limitazione o una compressione delle garanzie che la Costituzione pone nei confronti della famiglia e delle sue manifestazioni, in base ai citati articoli 29, 30 e 31.

La votazione a scrutìnio segreto non può essere concessa, non solo ricorrendo ad un giudizio di prevalenza sul contenuto complessivo del testo, ma soprattutto per il fatto che la disciplina delle formazioni sociali dove si svolge la personalità dell’individuo – e tra queste rientrano senz’altro le famiglie non fondate sul matrimonio – trova il proprio fondamento costituzionale nell’articolo 2, che non è ricompreso tra le disposizioni tassative per le quali il voto segreto può essere concesso.

In conclusione, il provvedimento all’esame dell’Assemblea non ha ad oggetto il riconoscimento di una realtà fattuale in contrasto con le tutele e le garanzie di cui agli articoli 29 e seguenti della Costituzione, ma attribuisce effetti giuridici alla legittima manifestazione del consenso tra soggetti che nella loro libera determinazione volitiva costituiscono una realtà ritenuta meritevole di tutela, ad ogni effetto, nell’ambito omnicomprensivo ed in sé stesso esaustivo del richiamato articolo 2 del dettato costituzionale, in forza del quale l’indice di imputazione degli effetti non può che rinvenirsi nella dichiarazione espressa dai diretti interessati, ad una stregua non degradata rispetto alle stesse obbligazioni contratte verso terzi.

Di conseguenza, la richiesta di voto a scrutinio segreto non può essere accolta. 

(Applausi dal Gruppo PD e della senatrice Repetti).


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